RICORDATI DI FARE MIAO
da un’idea di Luca Calvanelli
scritto da Giorgio Fabbri
cortometraggio liberamente ispirato a “Conversando con i miei
bambini” (1977)
di Ronald D. Laing
2000, ET Saggi - EINAUDI
PROGETTO
© Marzo 2009
SOGGETTO
Un uomo di mezza età, un po’ nevrotico, aspetta il suo turno
nella sala d’attesa della sua psicoterapeuta.
Questi pochi minuti si trasformano in un piccolo incubo per il
nostro paziente: gli sembra di vedere strane macchie sul
soffitto, alcuni rumori improvvisi lo fanno sobbalzare; tutto
sembra così misterioso, sinistro, terrificante. Dall’altra parte
della casa, dove lui sa esserci lo studio della dottoressa,
provengono ombre, luci, miagolii.
L’uomo inizia a sentirsi spaventato quando, improvvisamente, una
bambina di 6 anni entra nella sala e si siede difronte a lui con
un fare di chi la sa lunga.
La bimba gli pone domande non propriamente convenzionali: questa
è la storia del loro dialogo.
La vita a volte, inaspettatamente, ci mostra l’altra faccia
della realtà.
IDEA – TRATTAMENTO
ADAM: ce l'hai una lunga pertica?
PAPA': no, mi dispiace.
ADAM: e una scala?
PAPA': cosa ne vuoi fare?
ADAM: voglio buttare giù il sole e romperlo in due e darlo alla
mamma da cuocere e poi lo mangiamo.
da “Conversando con i miei bambini” (1977) di Ronald D. Laing
2000, ET Saggi - EINAUDI
Negli anni ’70 lo psichiatra Laing per molto tempo ha riportato
in un diario le conversazioni con i suoi tre figli. Queste si
sono svolte a partire dal termine della prima infanzia, quando
ancora i bimbi non possedevano un linguaggio completamente
articolato.
Un bambino inquieto, una bambina arguta, un fratellino appena
nato, una mamma-sorella e un papà attento: è la famiglia di
Ronald D. Laing, che in questo breve libro ci viene restituita
in tutta la sua immediatezza, senza mai ricorrere a commenti e
teorizzazioni. E attraverso i dialoghi tra genitori e figli o
tra fratelli, lo psichiatra inglese ci illustra come, lasciando
spazio alla libertà e all'immaginazione, la famiglia possa
essere il luogo di una fantasia collettiva.
«È tanto utile per gli adulti essere in contatto con i bambini
quanto per i bambini essere in contatto con gli adulti. Le cose
sui bambini le impariamo soltanto dai bambini. La comprensione
di noi stessi è enormemente impoverita se non siamo in contatto
con l'infanzia. Sospetto che i bambini abbiano una parte
altrettanto importante nella crescita e nello sviluppo degli
adulti come noi l'abbiamo nella loro».
Ronald D. Laing
Ecco: partendo dai concetti espressi nel libro e portandoli al
paradosso si è deciso di scrivere e realizzare questo film.
Un adulto in difficoltà ed una bambina di 5 anni messi uno
difronte all’altra, simboli e manifestazioni della realtà dei
nostri giorni basata quasi esclusivamente sull’ossessione della
comunicazione (il più delle volte artificiale e rarefatta) che
ipnotizza ed estranea.
Si narra la vicenda di un uomo di circa 40 anni (Gianfranco) che
da tempo è in cura con una psicoterapeuta a causa di un disagio
(non narrato). Un giorno, uno dei tanti in cui si reca dalla
dottoressa per una seduta, nella sala d’attesa della
casa-studio, mentre vive il normale disagio misto a lieve
angoscia tipici di chi dovrà, di lì a poco, di nuovo ritornare
nel suo “vissuto”, nel suo “passato”, ha un incontro speciale:
aspettando il suo turno, seduta davanti a lui si trova la figlia
della dottoressa, 5 anni.
“Avvertito” ed impaurito poco prima da un rumore sinistro che ha
squarciato i suoi pensieri di “uomo fragile”, ora appare una
bimba che ha tutta l’aria di saperla lunga (?).
Lui la fissa da adulto; lei non lo guarda neanche, sta colorando
alcune figure su un libro di animali.
In pochi secondi la bambina ha in pugno Gianfranco; con qualche
domanda, a cui inizialmente lui risponde con sufficienza ed
ironia, la bambina entra nel mondo e nell’inconscio dell’uomo.
Lo stimola, lo sollecita con frasi spontanee, affermazioni e
gesti tipici del mondo dei bambini (con naturalezza, semplicità
e purezza); ad ogni battuta lui resta sempre più stupefatto,
imbarazzato e perplesso.
Lei chiede, lui non vuole stare al gioco.
Lei dunque lo incalza, lui la sfida.
Lei perciò lo provoca, lui fa il sostenuto… poi cede.
Allora la bambina sferra il suo attacco finale, forse
inconsciamente, forse con un obiettivo o forse seguendo solo il
suo modo semplice di vedere la vita:
BAMBINA: Tu sei triste? Me lo puoi dire se sei triste, eh!
GIANFRANCO: Normale… ok si! Sono un po’ triste.
BAMBINA: Mmh… sei triste per via della vita?
GIANFRANCO: Si… penso di si.
BAMBINA: Io non sono triste…
GIANFRANCO: … sei solo una bambina, è giusto così.
BAMBINA: Vuoi che facciamo a cambio?
GIANFRANCO: Di che?
BAMBINA: Tu fai la bambina e io quello grande.
GIANFRANCO: Non si può fare…
Da adulto risponde subito “no”… ma poi, dimostrando una
sensibilità e disponibilità superiori a quanto avevamo creduto
fin’ora, accetta la sfida: cambiano di posto, lei diventa
“triste” (adulta) e lui deve diventare “spensierato” (bambino).
Diventare, cioè, un essere che sogna, sbaglia, non pensa al
giudizio degli altri, non pensa al decoro e dà fiducia alla vita
come un fiume che scorre.
Inzialmente non sarà facile (soprattutto per lui).
Giocheranno insieme, si confonderanno i ruoli ed in silenzio lui
scoprirà che quel “rumore sinistro” di prima, ora che “è” un
bambino, vuole e può provocarlo anche lui e in questo nuovo
ruolo non sarà un “rumore spaventoso” ma un gioco ardito,
entusiasmante, inventato.
Con gli occhi dei bambini è tutto un po’ più pulito.
Con gli occhi dei bambini si vede un po’ di più la verità.
Forse il “paziente-bambino Gianfranco”…
La dottoressa esce dalla sua stanza con un altro paziente ed
insieme assistono alla scena grottesca che gli si para davanti:
la bambina con lo sguardo artificiosamente triste e Gianfranco
sporco di pennarelli intento a giocare con un libro di animali.
La dottoressa ed il suo paziente si dirigono verso la porta
d’uscita e, sconcertati, attraversando la stanza ridotta ad un
incrocio tra un piccolo parco giochi ed una sala d’attesa di uno
psichiatra dell’ultimo cartone della Pixar, si scambiano confuse
parole sulla seduta appena eseguita e si salutano dandosi
appuntamento per la prossima seduta (a questo punto il paziente
appena uscito si starà chiedendo “ma nelle mani di chi mi sono
messo?”).
I due si salutano e la dottoressa, ora sola con Gianfranco e la
figlia, chiede spiegazioni.
La bambina non le dà (le cose semplici non si spiegano).
Il nostro non le dà (i forti non spiegano nulla).
Gianfranco e la bambina, ormai in grande sintonia, si
riscambiano velocemente i ruoli.
Gianfranco ha le lacrime agli occhi, la bambina l’ha veramente
aiutato.
La dottoressa, che percepisce che qualcosa di incontrollabile
per la sua “professione” è successo, spedisce la figlia in
camera sua.
Sono soli: due adulti, dottoressa e paziente.
Lui dice di volersene andare.
Lei, indebolita nel suo ruolo, chiede allora di rimandare la
seduta ad un’altra volta.
Lui dice di no.
Ma come…?
Cosa è successo?
Possibile che una macchia rossa…?
Al di là della laicità o meno di ognuno di noi, o del desiderio
di ognuno di noi di “entrare” da qualche parte, la frase “Se non
ritornerete come bambini non entrerete mai” resta illuminante.
LA PRODUZIONE
“DILETTA VITTORIA – SEZIONE FILM” è una giovane, attiva casa di
produzione con sede a Roma. Enrico Todi (manager della società)
lavora da molti anni come promotore ed organizzatore di eventi
culturali in tutto il mondo.
Questo è il loro primo film.
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